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La caramellizzazione: quando il dolce diventa amaro per la salute

Cucinare i cibi attraverso il calore è senz’altro una delle pratiche più antiche della storia dell’uomo. Tuttavia questa tecnica non è solo un atto di piacere sensoriale, ma una necessità per eliminare agenti patogeni dal cibo, rendendolo commestibile e digeribile.
Tra le varie tecniche culinarie che riescono a sprigionare dagli alimenti un bouquet aromatico e organolettico eccellente c’è la caramellizzazione, per altro interessante meccanismo chimico, in grado di arricchire di sapori e aromi che rendono i nostri piatti rendendoli praticamente irresistibili.
Bisogna però andare oltre e sollevare quel dolce velo di delizia culinaria, per esaminare con occhio critico e scientifico le implicazioni sanitarie di questo processo. E sì, perché il dolce sapore del caramello si rivela un veleno amaro per la nostra salute.
Esaminiamo allora qui nel nostro blog cosa voglia dire caramellare i cibi e quali sono gli impatti negativi derivanti dal consumo di questa procedura in cucina.

Cosa si intende per caramellizzazione?

Con questo termine evocativo di “caramellizzazione” facciamo riferimento al quel processo termico attraverso il quale è possibile decomporre gli zuccheri, saccarosio, glucosio e fruttosio prevalentemente, in presenza o meno di acqua, e generalmente a temperature superiori ai 160 gradi Celsius e a determinate condizioni di pH.
Da un punto di vista chimico gli zuccheri subiscono una serie di reazioni chimiche che includono la fusione, la decomposizione e la polimerizzazione. Il risultato è una varietà di composti organolettici che conferiscono sapore dolce, colore dorato o ambrato e un aroma distintivo agli alimenti. Parliamo di furani, anidridi cicliche, acidi e i loro esteri, insomma una varietà di polimeri a basso peso molecolare, responsabili della caratteristiche organolettiche e cromatiche dei cibi trattati con questo procedimento. Questo processo chimico è abbastanza comune e gode di ampia diffusione in cucina, perché copre una vasta gamma di applicazioni, dalla preparazione di dolci e confetture o anche alcune lavorazioni di carne e pesce, fino alla realizzazione di salse e marinatureConoscere però questa tecnica permette indubbiamente di destreggiarsi meglio tra i fornelli e conoscere quali sono i meccanismi specifici, in grado di influenzare la qualità sensoriale degli alimenti. 

A quale temperatura inizia la caramellizzazione dello zucchero?

Per dare una risposta a questa domanda dobbiamo fare un distinguo sulla tipologia dello zucchero utilizzato e dalle condizioni ambientali quali umidità e pH. Generalmente, si può affermare che il processo inizia a temperature che variano, come precedentemento anticipato, dai 160 ai 180 gradi Celsius, tuttavia, il fruttosio, ad esempio, comincia a caramellizzare già a circa 110 gradi Celsius, mentre il glucosio richiede temperature più elevate, attorno ai 146 gradi Celsius. Il saccarosio, lo zucchero da tavola comunemente utilizzato, per intenderci, inizia a caramellizzare a circa 160 gradi Celsius, anche se la presenza di agenti acidificanti può abbassare questa soglia termica. Queste variazioni termiche sono fortemente influenzate quindi dalla struttura molecolare degli zuccheri, ma anche dalla concentrazione dello zucchero in una soluzione, che può interferire con il grado di temperatura e dunque di inizio del processo. La degradazione termica dello zucchero è comunque un processo fluido che può dare risultati fortemente diversi e proprio in virtù di questo richiede un attento controllo in cucina.

Come si caramella il cibo?

Partiamo da un concetto: caramellare il cibo non è un processo facile, o alla portata di tutti, in quanto richiede una certa padronanza per modulare i sapori attraverso quella che non è una “semplice” cottura dello zucchero!
Sebbene si possa immaginare
Il primo passo da fare è comprendere che il tipo di alimento e lo zucchero utilizzato hanno un impatto significativo sul risultato finale. Da carne a vegetali, passando per dessert, ogni categoria alimentare richiede un approccio specifico. Nel caso della carne, ad esempio, si deve partire dal saper scegliere il giusto taglio: tagli ricchi di tessuto connettivo, come costate e arrosti, sono particolarmente adatti a questo processo, grazie alla loro capacità di resistere a lunghe cotture senza diventare secchi. Bisogna poi preparare la carne, questo vorrà dire sgrassarla e asciugarla per bene, in quanto se troppo umida non riuscirà a dare un risultato ottimale.
L’uso di marinature a base di zuccheri può facilitare la caramellizzazione durante la cottura, da fare (è consigliabile) con una padella o una griglia ben calda, preferibilmente in materiale conduttivo come il ghisa.
Il calore elevato è essenziale per innescare la reazione chimica che decompone gli zuccheri superficiali della carne in una miriade di composti aromatici e coloranti.

Un altro aspetto che non va sottovalutato è l’importanza del riposo della carne una volta caramellata. Questa fase permette ai succhi di ridistribuirsi in maniera omogenea all’interno del taglio, garantendo un risultato finale succoso e saporito. Se nella carne è possibile aggiungere zucchero o miele, per intensificare il processo, per le verdure e gli ortaggi come cipolle o carote, il processo può avvenire naturalmente grazie agli zuccheri intrinseci. I dolci e i dessert, invece, spesso richiedono l’aggiunta di zucchero e un controllo preciso della temperatura per ottenere la desiderata croccantezza o consistenza viscosa. L’utilizzo di un termometro da cucina è altamente consigliato per monitorare la temperatura e garantire che la caramellizzazione avvenga nel range termico corretto, specifico per lo zucchero e l’alimento in questione.

Qual è la differenza tra caramellizzazione e reazione di Maillard degli zuccheri?

Molti confondono questi due processi che, seppure simili, sono in verità profondamente diversi. Se infatti è vero che entrambi i processi influenzano in modo significativo sapore, aroma e colore degli alimenti sottoposti a trattamento termico degli zuccheri, tuttavia mentre la caramellizzazione è un processo di degradazione termica degli zuccheri, esente dall’interazione con amminoacidi o proteine, la reazione di Maillard, invece, vede implicate oltre agli zuccheri riducenti, proprio queste sostanze. Questo secondo processo è di fatto particolarmente rilevante in alimenti proteici come carne e pesce, e genera una vasta gamma di composti, inclusi melanoidine, responsabili del colore bruno e del tipico aroma tostato, al contrario la caramellizzazione tende a produrre aromi più dolci e meno complessi.
Per la reazione di Maillard poi si tratta di temperature che, generalmente, sono comprese tra 140 e 165 gradi Celsius e non vanno oltre come invece accade quando si vuole caramellizzare un cibo.

Perché caramellare i cibi rappresenta un rischio per la salute

Il termine “caramellare” senza ombra di dubbio ci trasferisce in una dimensione quasi romantica, che ci riporta nostalgiche immagini di nonne intente a preparare caramelle, leccornie e dolci. Eppure non bisogna farsi trarre in inganno, perché al di là dell’immagine evocativa, il dibattito scientifico attorno alla caramellizzazione degli alimenti sottolinea non solo gli effetti a livello sensoriale, ma anche le implicazioni nutrizionali e i potenziali rischi per la salute. La caramellizzazione è infatti un processo chimico, che avviene attraverso la pirolisi degli zuccheri, se sottoposti ad elevate temperature, cosa che porta alla formazione di una varietà di composti, tra cui anche le l’acrilammide, una sostanza neurotossica e potenzialmente cancerogena che si forma particolarmente nei cibi ricchi di amido sottoposti a trattamenti termici come le alte temperature. Oltre all’acrilammide, la caramellizzazione può anche contribuire alla formazione di altri composti potenzialmente tossici, come idrossimetilfurfurale e furani, portatori sì di colore e sapore, ma anche di citotossicità e cancerogenicità.
Ma non sono solo questi i rischi a cui esponiamo la nostra salute quando ingeriamo cibo caramellato, perché le alte temperature sono responsabili anche della perdita di nutrienti essenziali, contribuendo ad un profilo nutrizionale  non del tutto ottimale e che, con l’andare del tempo, ci espone a rischi quali obesità e malattie metaboliche.

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Un'alternativa salutare alla caramellizzazione

La consapevolezza dei rischi indotti dalle alte temperature in cucina ha certamente suscitato interesse e maggiore attenzione verso l’alimentazione, spingendo ad una crescente ricerca nel campo della chimica alimentare, con l’obiettivo di sviluppare metodi di cottura alternativi che minimizzino la formazione di questi composti pericolosi.
La cottura a bassa temperatura, ad esempio, si pone proprio come una validissima alternativa per la cottura dei cibi, in quanto in grado di esaltare il sapore degli alimenti senza compromettere la loro salubrità.
Questa tecnica, infatti, permette la conservazione dei nutrienti come le vitamine e gli antiossidanti, oltre a ridurre la formazione di composti potenzialmente nocivi come quelli qui visti.
Il principio fondamentale è quello di cuocere i cibi con tecniche come quella del “sottovuoto” e con temperature controllate, che oscillano generalmente tra i 50 e gli 85 gradi Celsius.
Questa omogenea e lenta trasmissione di calore consente di preservare la struttura cellulare degli alimenti, evitando l’indesiderata pirolisi degli zuccheri e delle proteine.
Il risultato è un profilo sensoriale di alta qualità: texture morbida, sapori intensi e autentici, che fa anche bene alla salute!
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